Uniti contro l'AIDS

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Ultimo aggiornamento

  • 1 marzo 2016

Novità dal CROI 2016

Novità CROI 2016
Si è recentemente tenuta a Chicago (USA) la Conferenza annuale sulle Infezioni da Retrovirus ed Opportunistiche (CROI), importante occasione di confronto tra i Ricercatori ed i Clinici impegnati nella gestione e cura dell’infezione da HIV e delle infezioni opportunistiche nell’AIDS.

Tra i numerosi interventi effettuati, alcuni studi hanno destato un rilevante interesse a livello della comunità scientifica internazionale.

Un inizio precoce della terapia HAART non risulta associato ad un aumentato rischio cardiovascolare.
Numerosi studi epidemiologici hanno documentato, nelle persone che hanno assunto la terapia antiretrovirale HAART per una lunga durata, un aumento dell’incidenza di patologia cardiovascolare in conseguenza di lesioni croniche a carico della parete dei piccoli vasi sanguigni, ma non è stato definitivamente accertato se questo fenomeno sia associato all’infezione cronico o all’effetto della terapia farmacologica combinata.
Nell’ambito dello studio multicentrico START, è stato valutato, in un sottogruppo di circa 300 persone, se un inizio precoce del trattamento antivirale (con linfociti CD4+ oltre 500/microlitro) fosse associato ad eventuali alterazioni a carico dell’elasticità delle principali arterie dell’organismo, misurata per mezzo di un esame tonometrico.
Dopo 36 mesi di trattamento, lo stato di elasticità della parete arteriosa è risultato sovrapponibile nei due gruppi di persone che hanno iniziato il trattamento quando i linfociti CD4+ erano sotto i 350 o sopra i 500/microlitro, rispettivamente, non risultando variazioni significative nell’incidenza di patologie cardiovascolari.
Questo dato sembra quindi incoraggiare un inizio precoce della terapia HAART, in linea con quanto viene raccomandato attualmente dalle linee guida a livello globale.

Aumentato rischio di fragilità ossea associato all’uso del tenofovir, il farmaco principale utilizzato per la Profilassi Pre-Espositiva.
Il farmaco tenofovir, utilizzato largamente nella terapia combinata HAART e nella Profilassi Pre-Espositiva (PrEP), risulta potenzialmente comportare effetti collaterali a danno del tessuto osseo.
Molti studi, tra i quali l’Euro-SIDA, hanno infatti dimostrato un maggiore rischio (circa il 40% in più) di fratture ossee nelle persone che hanno fatto uso di questo farmaco negli ultimi dieci anni, probabilmente in conseguenza di un aumentato riassorbimento di tessuto osseo.
Da qui la preoccupazione che il tenofovir possa comportare tale rischio anche per le persone non-infette che ne fanno uso nell’ambito della PrEP.
Uno studio presentato al CROI (iPrEx) ha valutato, in circa 500 persone che hanno fatto uso di tenofovir nell’ambito di una PrEP, le variazioni a carico della densità minerale delle ossa tramite densitometria-DEXA.
Dopo mediamente un anno circa di trattamento, le persone che hanno assunto il tenofovir hanno mostrato una lieve diminuzione di tessuto osseo a carico dell’anca (1%) e della colonna vertebrale (1,8%) rispetto al gruppo di controllo (placebo).
Tale fenomeno è risultato regredire a distanza di 6/18 mesi dall’interruzione del trattamento, indicando un probabile nesso causale con l’assunzione del farmaco.
Nonostante la PrEP possa rappresentare un utile strumento di prevenzione, non bisogna sottovalutare i potenziali effetti collaterali associati nell’assunzione a lungo termine del farmaco tenofovir.

Parziale protezione anti-HIV mediante anello vaginale medicato.
Un anello ad uso vaginale a lento rilascio di un farmaco antiretrovirale (dapivirina) è risultato fornire, in un gruppo di donne nell’Africa Subsahariana, una parziale protezione contro l’infezione da HIV.
Nell’ambito degli studi ASPIRE e RING, a circa 4500 donne da 4 Paesi dell’Africa (Sudafrica, Uganda, Malawi and Zimbabwe) è stato offerto un anello in silicone ad uso intravaginale contenente il farmaco anti-retrovirale dapivarina o una sostanza inerte (placebo) da utilizzare come strumento di prevenzione contro la trasmissione di HIV per via sessuale.
I primi risultati dei due studi indicano, nelle donne che hanno usato l’anello vaginale contenente il farmaco, una protezione del 30% circa rispetto a quelle che hanno utilizzato l’anello contenente il placebo.
Questa protezione è risultata più alta (quasi il doppio) nelle donne al di sopra dei 25 anni, probabilmente per un utilizzo più costante o per una maggiore capacità dell’organismo di contrastare le infezioni a trasmissione sessuale.
Nonostante sia stata riscontrata una protezione non completa, soprattutto a carico delle donne più giovani, l’anello vaginale, in virtù del basso costo e della facilità di utilizzo, può rappresentare uno strumento valido per la prevenzione dell’infezione da HIV nei contesti culturali dove l’uso del profilattico non viene ancora pienamente accettato dalla società.

Nuove prospettive di un trattamento antiretrovirale a lunghi intervalli di tempo.
In tempi non lontani potrebbero essere disponibili farmaci antiretrovirali a lento rilascio da potersi assumere non più giornalmente ma ad intervalli più lunghi.
Al CROI sono stati presentati i risultati sperimentali di un trial di fase IIb (LATTE-2) nel quale è stata valutata l’efficacia di un regime terapeutico a base dei farmaci (cabotegravir e rilpivirina) iniettati per via intramuscolare in una formulazione a lunga durata di rilascio (4 o 8 settimane).
Specificamente, i 309 partecipanti allo studio, tutti mai trattati in precedenza, sono stati sottoposti ad un regime terapeutico che prevedeva, come prima fase, la somministrazione orale giornaliera dei farmaci cabotegravir, abacavir e lamivudina.
Una volta verificata la riduzione della carica virale a livelli indosabili, una parte delle persone è stata trattata con i farmaci cabotegravir e rilpivirina iniettati per via intramuscolare (ogni 4 o 8 settimane), mentre il resto del gruppo ha continuato la terapia giornaliera per via orale.
A distanza di 32 settimane la soppressione antivirale è stata osservata nel 94% e 95% delle persone trattate ogni 4 o 8 settimane con la terapia per via iniettiva contro il 91% circa delle persone trattate giornalmente con i farmaci per via orale.
Nonostante l’evidenza di reazioni infiammatorie locali (oltre il 90% dei casi) e di febbre o affaticamento (12% dei casi), il 90% delle persone trattate con i farmaci per via iniettiva ha espresso soddisfazione per il regime terapeutico, contro il 70% del gruppo di controllo.
Lo studio risulta tuttora in corso e i risultati definitivi saranno disponibili alla fine del periodo di monitoraggio farmacologico, previsto per 96 settimane dall’inizio del trattamento.
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