Uniti contro l'AIDS

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Novità emerse dalla Conferenza AIDS 2018

AIDS 2018 - Conferenza AnnualeDal 23 al 27 luglio si è svolta ad Amsterdam la Conferenza Annuale AIDS 2018, importante evento che si occupa, a livello globale, degli aspetti sanitari, scientifici, sociali e mediatici dell’infezione da HIV e dell’AIDS.
Nell’occasione sono stati presentati numerosi interventi che hanno messo in evidenza le rilevanti novità nel campo dell’infezione.

Aspetti epidemiologici dell’infezione
La riduzione di finanziamenti a livello globale può mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi riguardo l’arresto della progressione dell’epidemia mondiale di HIV.
Nello specifico, sono stati presentati vari studi da parte dell’UNAIDS e di Centri di Ricerca che hanno dimostrato che l’obiettivo 90-90-90 stabilito per il 2020 sarà difficilmente raggiunto a meno che vengano incrementati i finanziamenti dedicati da parte di paesi più ricchi, come era stato garantito nel 2014, ma anche dei singoli paesi che presentano una rilevante incidenza dell’infezione.
A tale proposito risulta necessario, nel nuovo scenario internazionale, favorire il sostegno a questi paesi da parte delle Organizzazioni Internazionali ed Non Governative, verificando la puntuale attuazione dei programmi.
In particolare lo studio SEARCH, condotto in alcuni paesi africani (Kenia, Uganda) ha dimostrato che un’efficace campagna di prevenzione tra la popolazione ha consentito un aumento del numero di diagnosi di infezione e soprattutto un rilevante incremento della soppressione virale indotta dalla terapia farmacologica.
Il numero di nuove infezioni da HIV tra gli uomini che praticano sesso con uomini (MSM) risulta in calo in alcune comunità nelle grandi città (S.Francisco, New York, Londra, Sidney).
Si ritiene che questo fenomeno sia dovuto all’effetto combinato dell’incremento dei casi di efficace soppressione virologica (Treatment as Prevention –TasP) e della pratica di profilassi farmacologica Pre-espositiva (PrEP).
Poiché la PrEP è risultata disponibile solo in tempi recenti (dal 2012 negli USA e successivamente nelle altre realtà internazionali) e viene praticata da una ridotta componente della popolazione a potenziale rischio (meno del 10% secondo il CDC USA), sarà necessario attendere alcuni anni prima che si possa valutarne pienamente l’effetto a livello globale.
Inoltre, il nuovo studio PARTNER 2 ha confermato che, anche tra le persone MSM, la probabilità di trasmissione dell’infezione si avvicina allo zero nel caso di completa e permanente soppressione virologica.

Novità riguardo il trattamento anti-HIV
Il nuovo farmaco doravirina (inibitore non-nucleosidico della reverse transcriptase -NNRTI) risulta essere più efficace dei farmaci darunavir/ritonavir (inibitori della proteasi) e il suo utilizzo nella terapia combinata potrebbe comportare una significativa riduzione degli eventi di resistenza farmacologica e degli effetti collaterali, favorendo l’aderenza al trattamento ed il mantenimento della soppressione virologica.
Non sono arrivati risultati incoraggianti dallo studio RIVER, nel quale alla terapia combinata è stata affiancata la somministrazione di un vaccino specifico, consistente in materiale genetico di HIV incorporato in vettori virali, al fine di combattere efficacemente la riserva virale cellulare.
Nelle persone sottoposte a tale trattamento non è stata osservata una significativa riduzione delle cellule contenenti il virus e la soppressione virologica è risultata sovrapponibile a quella esercitata dalla tradizionale terapia combinata.
Lo studio multicentrico GEMINI ha dimostrato che il trattamento combinato con due soli farmaci (dolutegravir e lamivudina) è risultato, dopo 48 settimane di trattamento, comparabile a quello standard con tre farmaci (dolutegravir e tenofovir disoproxil fumarato/emtricitabina). Questo dato potrebbe consentire una minore probabilità di sviluppo di resistenza farmacologica e facilitare l’assunzione della terapia nel tempo.

Aspettativa di vita delle persone che vivono con HIV
La disponibilità della terapia combinata contro l’HIV consente, particolarmente nei paesi a maggiore reddito, una soddisfacente aspettativa di vita per le persone che vivono con l’infezione. Uno studio retrospettivo effettuato sulle persone con HIV morte nel 2016 a Londra ha dimostrato che, solo in una quota minoritaria i decessi erano dovuti a cause collegate all’AIDS, con una percentuale intorno al 14% nei casi di morte inaspettata.
La mortalità, in questo gruppo di persone, risultava prevalentemente associata ad eventi cardiovascolari, ad incidenti o a patologie tumorali.
Lo studio HEART effettuato negli Stati Uniti, ha inoltre evidenziato che le persone con HIV hanno una maggiore probabilità di andare incontro ad infarto miocardico rispetto alla popolazione generale suggerendo che questo fenomeno sia associato allo stress indotto all’organismo dall’infezione cronica, congiuntamente all’utilizzo continuativo di farmaci.
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