Uniti contro l'AIDS

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Novità dal CROI 2022

Si è svolta dal 12 al 16 febbraio, in modalità virtuale la Conferenza Annuale sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche, tradizionale ed importante occasione per l’aggiornamento ed il confronto scientifico sull’HIV/AIDS a livello globale. Anche se nella modalità a distanza, sono stati presentati importanti contributi scientifici nel campo della prevenzione, terapia e aspetti sociali dell’infezione da HIV e delle patologie associate. In tutti gli interventi è stato inevitabile sottolineare l’impatto della pandemia da COVID-19 nell’accesso della popolazione mondiale alla diagnosi e alla terapia dell’HIV e delle infezioni opportunistiche.

Aspetti Epidemiologici
Il processo di contenimento progressivo della pandemia e l’obiettivo ambizioso del raggiungimento del 90% delle persone diagnosticate, avviate al trattamento e trattate con successo entro il 2020, hanno necessariamente subito delle limitazioni in conseguenza della difficoltà di movimento, del cospicuo impegno ospedaliero contro il COVID-19 e della riduzione drastica dei programmi internazionali di supporto per i Paesi in via di Sviluppo.
Uno studio nell’ambito del programma internazionale President’s Emergency Plan for AIDS Relief (PEPFAR) condotto su 41 Paesi in Via di Sviluppo ha evidenziato come dal 2016 al 2021 il numero di test HIV effettuati e delle diagnosi di infezione abbia risentito dal 2020 di un calo sensibile, pur rimanendo stabile la percentuale di test positivi. Nonostante questa riduzione, oltre il 90% delle persone HIV-positive ha avuto accesso negli ultimi anni al trattamento anti-retrovirale, indicando che le strutture locali siano riuscite a mantenere, nonostante la pandemia da COVID-19, una apprezzabile attività di gestione dei casi.
Uno studio condotto dal National French Perinatal Cohort, che ha seguito dal 2000 oltre 15.000 donne HIV-positive nel corso della gravidanza, ha sottolineato che, negli oltre 5000 casi in cui il trattamento determinava la soppressione virale, non si sono registrati casi di trasmissione verticale del virus, sottolineando l’importanza dello screening HIV pre-natale e la necessità di implementarlo a livello globale.
Uno studio effettuato dal USA National HIV Surveillance System ha mostrato, sulla base dei dati cumulativi 2017-2019, che per la popolazione statunitense la probabilità di contrarre l’infezione da HIV risulta minore rispetto a quanto osservato per il periodo 2010-2014. Sussistono tuttavia notevoli differenze per sottogruppi di popolazione e le persone di etnia afro-americana e latina presentano tutt’ora una probabilità di infezione rispettivamente 6,3 e 3,4 volte superiore rispetto alle persone di etnia caucasica, indicando la persistenza di disparità legate alla prevenzione comportamentale e all’accesso allo screening.

Trattamento
Molti studi hanno confermato l’efficacia anti-virale dei trattamenti combinati con due o tre farmaci a diverso meccanismo di azione e la minore probabilità di effetti collaterali nei regimi che includono gli inibitori della integrasi virale.
I trattamenti per via intramuscolare a lunga durata di azione (ogni 4 e 8 settimane) con i farmaci cabotegravir e rilpivirina confermano la loro efficacia nel sopprimere la viremia e, per i maggiori vantaggi in termine di gestione e aderenza, si stanno diffondendo sempre più in molti Paesi. Sono in corso Programmi volti ad espanderne la disponibilità nei Paesi in Via di Sviluppo nei quali l’aderenza alla terapia con farmaci tradizionali risulta inadeguata.
In uno studio su 180 persone al primo trattamento contro l’HIV, l’inibitore capsidico Lenacapavir a lunga durata di azione, somministrato per via sottocutanea  ogni sei mesi, è risultato conferire dopo quasi un anno una efficacia soppressiva in oltre il 90% dei casi.  
Diversi studi hanno mostrato l’efficacia della PrEP con il farmaco cabotegravir per via intramuscolare ogni 2 mesi. In uno studio su 4500 partecipanti in diversi continenti, l’efficacia di prevenzione del Cabotegravir risulta superiore del 66% rispetto al trattamento preventivo con Tenofovir/emcitrabina per via orale.      
La somministrazione di anticorpi monoclonali contro l’HIV e di un attivatore cellulare è potenzialmente in grado di agire anche sulle cellule che contengono il virus in forma latente. Uno studio effettuato su 59 persone con infezione da HIV ha dimostrato che nelle persone alle quali alla terapia antiretrovirale veniva aggiunti l’anticorpo monoclonale 3BNC117 e l’attivatore romidepsina, l’infezione poteva essere controllata anche in assenza della terapia, con 6 persone HIV-soppresse per 12 settimane e una per oltre 3 anni. 
E’ stato riportato il caso di una donna HIV-positiva sottoposta a trapianto a base di cellule staminali “miste” (aplo-trapianto) provenienti dal sangue di un parente parzialmente compatibile e dal cordone ombelicale neonatale le cui cellule contenevano la mutazione doppia CCR5-delta-32, che determina la resistenza all’HIV. Dopo tre anni di trattamento antiretrovirale e nessuna evidenza della presenza del virus, questo veniva interrotto e a distanza di 14 mesi non è stata più riscontrata alcuna presenza del virus nel plasma e nei linfociti con assenza degli anticorpi anti-HIV.

Vaccinazione contro il COVID-19
Diversi studi hanno valutato le modalità e l’efficacia della vaccinazione contro COVID-19 nelle persone con infezione da HIV. La copertura vaccinale per gli HIV-positivi è risultata ricalcare quella della popolazione generale con differenze significative tra i Paesi delle diverse aree del globo. In particolare, in molti Paesi dell’Africa Sub-Sahariana la copertura vaccinale è risultata inferiore al 40% mentre in Europa, Asia e America Settentrionale rasentava il 90%.
In più studi è stato riportato che la risposta immunitaria al vaccino contro il COVID-19 nelle persone HIV-positive risulta paragonabile a quella della popolazione generale, con una rilevante riduzione della risposta cellulare ed anticorpale solo nei casi in cui i linfociti CD4 risultavano al di sotto del 200/mm3. L’effettuazione della dose booster ha comunque incrementato in tutti i casi la risposta contro il Sars-CoV2 anche se questa continuava a risultare più bassa nelle persone con una maggiore compromissione del sistema immunitario.
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